Lavanda e lavandino
Tre specie del genere Lavandula, famiglia Labiatae, sono attualmente coltivate ed impiegate per l’estrazione dell’olio essenziale:
1. lavanda vera, L. angustifolia Mill. (sin. L. officinalis Chaix, L. vera DC.).
2. lavanda spica, L. latifolia Medik. (sin L. spica DC.)
3. lavandino, L. hybrida Rev., ibrido naturale di L. officinalis x L. spica.
Delle tre specie, la prima fornisce l’essenza più pregiata, oltre ad essere l’unica di uso officinale.
ASPETTI BOTANICI
Tutte le specie di lavanda sono suffrutici, di altezza variabile da 40 (lavanda vera) a 100 cm. (lavandino).
I fusti sono eretti, legnosi e densamente ramificati. Il lavandino si differenzia per il maggior sviluppo vegetativo e per la maggior dimensione delle brattee ascellari dei fiori.
L’infiorescenza è una spiga; i fiori, zigomorfi, presentano corolla purpureo-violacea.
Le foglie, lineari ed opposte sono coriacee: grigio verdi, tormentose, misurano 1,5-2 x 15-40 mm nella lavanda vera;
più tendenti al verde, meno tomentose e di dimensioni maggiori nel lavandino.
L’apparato radicale è costituito da una radice principale legnosa, contorta e numerose radici secondarie, superficiali.
Il frutto della lavanda vera è un achenio marrone scuro-nero; la facoltà germinativa di 3-4 anni. Il lavandino è un ibrido sterile che non produce semi.
La lavanda vera è tipica degli ambienti secchi e dei terreni calcarei.
Cresce spontanea in Liguria (Alpi Marittime), Piemonte, sulle coste della Toscana, nel Salernitano e sul Pollino.
Lo spigo (L. spica) è tipica delle regioni mediterranee ed è più sensibile al freddo della lavanda vera.
Cresce spontanea in Liguria, Toscana, Umbria e Abruzzo e nelle Marche fra 0 e 1000 m.s.l.m.
Il lavandino (dal francese “lavandin”) si può incontrare ad altitudini fino ai 1000 m.s.l.m. ed ha uno sviluppo maggiore sia in altezza che in diametro,
steli fiorali robusti, lunghi e numerosi con spighe formate da molte spighette raggruppate in palchi.
Grazie all’elevato contenuto di olio essenziale, l’intera pianta emana un odore fragrante e penetrante e tutte le specie sono ottime mellifere.
UTILIZZO
Si utilizzano la droga (Lavandulae flos) e l’essenza (Aetheroleum lavandulae).
La droga è costituita dalle infiorescenze di L. angustifolia Mill. raccolte appena prima della schiusura ed essiccate.
Le indicazioni, per uso interno, sono: stati di inquietudine, insonnia, meteorismo etc.
L’essenza, pur essendo presente in tutta la pianta, è contenuta soprattutto in speciali ghiandole oleifere, che si trovano fra le scanalature del calice.
Le parti utilizzate per l’estrazione dell’olio essenziale sono le infiorescenze. Il tempo balsamico è la fine della fioritura.
La composizione e il contenuto di olio differiscono nelle tre specie, variando da 0,5 a 1,5% nella lavanda vera, a seconda della varietà, a 0,9-3% nel lavandino e tra lo 0,5-0,8% nello spigo.
I costituenti più pregiati dell’olio essenziale sono il linalolo (15-45%) e il suo estere, l’acetato di linalile (30-50% in lavanda vera, 7-33% nel lavandino),
mentre caratteristiche negative sono date dalla canfora, presente sia nello spigo (% più elevata) che nel lavandino, ma che comunque non dovrebbe superare il 10%.
CLIMA E TERRENO
Le specie del gen. Lavadula sono tipiche del clima temperato dell’area mediterranea e sono xerofite. Resiste alle basse temperature (fino a –20°C) in fase di riposo invernale,
ma teme le gelate tardive, particolarmente dannose per il lavandino. La prima, più pregiata e redditizia, si adatta quindi alla coltivazione nelle zone di montagna;
il lavandino, meno pregiato, ma più produttivo, alle zone al di sotto dei 700 m.s.l.m.
La lavanda predilige terreni assolati e per fornire un buon contenuto e composizione dell’o. e. richiede un’abbondante illuminazione.
Le condizioni ottimali di coltivazione sono i pendii collinari protetti dai venti freddi ed esposti a sud, mentre si adatta con difficoltà a posizioni di fondo valle.
Le specie del genere Lavandula preferiscono terreni asciutti, leggeri, a reazione alcalina e o calcarei.
Tollerano molto male invece quelli argillosi od acidi, umidi o soggetti a ristagno idrico.
Per il suo apparato radicale profondo, la lavanda viene utilizzata contro l’erosione dei terreni declivi instabili.
TECNICA COLTURALE
Scelta varietale
La scelta della cultivar all’interno delle specie, influenza molto le rese e la qualità. Le varietà più note sono:
Lavanda vera: Maillette e Matheronne (Francia), Casola (Italia), Galactica (Russia), Budakaslaszi (Ungheria) etc.
Lavandino: Abrialis (sviluppo modesto) selezionato nel 1930 è capace di dare 2kg di o.e./q di infiorescenze, però il suo olio è molto canforato. L’ibrido R-C, selezionato dal prof. Rinaldi Ceroni di Casola Valsenio, dà un’elevatissima resa in essenza.
Esistono inoltre moltissime varietà per impiego ornamentale.
Durata della coltura
Da 7 a 9 anni per il lavandino; fino a 12 anni per la lavanda.
Preparazione del terreno e concimazione
Aratura autunnale a 30-40 cm. di profondità, seguita da erpicatura. All’aratura interrare letame in ragione di 35-50 t./ha.
Concimazione convenzionale: 50-60 kg/ha di azoto (N), fosforo (P2O5) e potassio (K20) all’impianto, seguiti da 60-70 kg/ha di N e K20 da somministrare gli anni successivi durante le operazioni primaverili di fresatura.
Impianto
Per la lavanda vera si può ricorrere alla semina (tuttavia le colture da seme risultano eterogenee e di grande variabilità) oppure alla propagazione per talea; per il lavandino solo alla propagazione per talea.
Per la propagazione da seme, è necessario preparare i semenzai in febbraio-marzo, oppure in autunno in quanto il seme, poco germinabile, deve essere sottoposto a basse temperature (2°C per una settimana) o trattato con acido gibberellico. In genere si utilizzano 2 g. di seme per m2, da cui si ottengono ca. 600 piantine che, quando avranno sviluppato almeno due foglie vere, andranno diradate a 300/m2 oppure trasferite in contenitori singoli, aveolati. Il trapianto definitivo si effettua dopo 60-70 giorni dall’emergenza, quando le piantine hanno raggiunto un’altezza di 10 cm. Un semenzaio di 50-60 m2 è in grado di fornire le piante necessarie per un ettaro di terreno.
La propagazione per talea viene fatta prelevando in autunno o inizio primavera da giovani piante madre di 2-3 anni di vita; ogni talea, parzialmente legnosa, deve avere una lunghezza di 10-15 cm e un diametro di 4-5 mm. Il taglio di separazione dalla pianta madre deve essere netto e va praticato sotto un nodo; le foglie basali vanno rimosse per evitare marciumi e ridurre la traspirazione e vanno interrate a 3-4 cm di profondità (si possono utilizzare anche ormoni radicanti). Per investire un ettaro di lavandeto, occorre una
superficie di 80-90 m2 di vivaio. Il trapianto, operazione normalmente meccanizzabile, si esegue in primavera con le talee radicate di 1 anno.
Le piantine vanno piantate profonde, a distanze di 1,5-2 m tra le file e 0,4-0,6 m sulla fila a seconda delle specie e delle cultivar impiegate: le densità variano infatti da 1 pianta/m2 per il lavandino (1,5 per la cv. Abrialis) a 2 piante/m2 per la lavanda vera.
Con l’ausilio di una trapiantatrice ed adottando una distanza di 0,5 m sulla fila e 2m tra le file si possono mettere a dimora 10.000 piante di lavandino/giorno (1 ha).
Cure colturali
Nel primo anno di impianto è consigliabile cimare un paio di volte le piante, in modo da favorire lo sviluppo di branche. L’operazione è meccanizzabile utilizzando la macchina impiegata per la raccolta.
Solo nell’anno d’impianto sono necessarie sarchiature lungo la fila, mentre in seguito è sufficiente sarchiare soltanto tra le file. Le lavorazioni devono essere leggere per non danneggiare l’apparato radicale, a sviluppo superficiale.
Normalmente le operazioni di raccolta sostituiscono quelle di potatura. In ogni caso è bene evitare lo sviluppo di eccessive porzioni legnose che vanno eliminate prima della ripresa vegetativa.
L’irrigazione non è normalmente necessaria, tranne in fase d’impianto, ed eventualmente un’irrigazione di soccorso nel primo anno, in caso di siccità.
Anche se non registrati da noi per la lavanda, per il controllo delle malerbe la letteratura riporta i seguenti principi attivi: pendimethalin e trifluralin in pre-impianto, e dichlobenil, chlorthiamid, prometrin e metabenztiazuron in post-impianto. La coltura può venir attaccata dalla cuscuta, contro cui è efficace propyzamide.
Malattie e parassiti
In generale la L. è una pianta resistente agli attacchi dei parassiti animali e dei funghi, tuttavia alcuni agenti patogeni possono causare dei marciumi radicali o del colletto (Armillaria mellea, Rosellinia necatrix, Coniothyrium lavandulae); oppure danni ai germogli (Phoma e Septoria lavandulae).
Fra gli insetti possono arrecare danni alla parte aerea alcuni ditteri (Thomasiniana e Resseliella lavandulae), il coleottero Arima marginata ed alcuni lepidotteri (Heliothis peltigera, Alucita tetradactyla ecc.) mentre la Ephestia elutella può deteriorare il prodotto immagazzinato.
Contro la Septoria, si utilizzano zineb o poltiglia bordolese, mentre riguardo ai trattamenti antiparassitari, occorre considerare il fatto che spesso alla coltura di lavanda è associata l’apicoltura.
Raccolta e rese
La prima raccolta si effettua nel 2° anno d’impianto. L’epoca ottimale per raccogliere il prodotto da distillare è l’inizio della sfioritura in quanto la percentuale di essenza ed i suoi componenti principali non variano dopo
l’avvizzimento dei fiori ed, in ogni caso, quando le piante non sono più bottinate dalle api. Per il prodotto erboristico invece è l’inizio della fioritura.
L’operazione di raccolta è meccanizzabile e si impiegano falcia-legatrici che hanno una capacità di lavoro pari ad 1 ettaro in circa 3 ore.
La resa in infiorescenze cresce nei primi 6-7 anni d’impianto, raggiungendo un massimo di 50-70 kg/100 m2 per la lavanda vera e 120-150 kg/100 m2 per il lavandino, per poi decrescere negli anni successivi. La resa in prodotto erboristico (fiori sgranati) è di 10- 15 kg/100 m2 per il lavandino, e poco inferiore per la lavanda vera.
Come già detto, il contenuto di olio differisce fra le tre specie, variando da 0,5 a 1,5% nella lavanda vera, da 0,9 al 3% nel lavandino e da 0,5 a 0,8% nello spigo.
L’essiccazione delle infiorescenze si effettua all’ombra, in locali aerati, disponendole in mazzi appesi. Il materiale, una volta essiccato, viene battuto per ottenere il distacco dei fiori che dovranno essere conservati in recipienti di vetro o ceramica, al riparo dalla luce.
Scheda a cura di Pietro Fusani e Carla Vender
Fonti bibliografiche:
Aiello N., 2004. Panorama varietale delle principali piante officinali. Sementi Elette, 4: 26.
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Hornok L., 1992. Cultivation and processing of medicinal plants. John Wiley and Sons.
http://www.bluigea.it/documenti/lavandula.pdf
Le Monografie Tedesche, 1995.
Pignatti S., 1982. Flora d’Italia. Edagricole, Bologna.
Rinaldi Ceroni A., 1966. La lavanda e il lavandino. UNIVERSALE EDAGRICOLE